Marika Beleffi: “Riassaporo la libertà dopo aver lottato contro il tempo in ospedale”
Mezzala sinistra dotata di temperamento fa della velocità e dell’agonismo le sue principali caratteristiche.
Bandiera della squadra bianconera dove ha iniziato e percorso tutta la trafila, alterna le battaglie sui campi di gioco alle emergenze nelle corsie dell’ospedale dove svolge il lavoro di infermiera, già impegnata in prima linea nella lotta al Covid.
Vetrina della settimana dedicata a Marika Beleffi, classe 1998, calciatrice militante nel campionato cadetto nelle fila del Cesena.
Ciao Marika per iniziare una breve descrizione della tua carriera
“Ho iniziato a giocare a calcio a 5 anni nel Castelvecchio, la squadra del mio paese, ho fatto tutta la trafila passando dalle pulcine, alle giovanissime, primavera fino ad arrivare in prima squadra nel 2013. Nello stesso anno con la selezione Emilia Romagna ho vinto il campionato Nazionale delle regioni. Dal 2013 in poi ho sempre militato in prima squadra con il Castelvecchio e nel 2018 abbiamo raggiunto la promozione in Serie B, approdando al girone unico, una stagione indimenticabile che ha permesso alla società di aprirsi al palcoscenico delle più grandi. Dalla stagione 2018/2019 è nato il Cesena femminile, squadra di cui faccio parte tutt’ora, una grande famiglia ma anche allo stesso tempo anche una società organizzata e con grandi progetti in mente”.
Le motivazioni che ti hanno spinto a giocare a calcio
“Per me dire calcio è come dire vita, non ho tante parole per spiegarlo, so solo che è l’unica cosa che da quando avevo 5 anni non mi ha mai abbandonato. Non ci sono delle motivazioni vere e proprie che mi spingono a giocare a calcio, è un istinto naturale, qualcosa più forte di me a cui non rinunciare e che ogni giorno, anche se sfinita dalle ore di lavoro mi fa mettere il borsone in spalla e partire per quel rettangolo verde”.
Il periodo del Covid vissuto al lavoro in ospedale e sul campo di gioco
“Il periodo COVID, penso sia stato un periodo estremamente difficile per tutti ma averlo vissuto in prima persona non è stato alquanto facile. I turni al lavoro erano estremamente complicati e massacranti e dal punto di vista psicologico e mentale lo erano ancora di più. Sembrava di vivere in un mondo parallelo e surreale. Tutti i giorni era una lotta contro il virus ma soprattutto una lotta contro il tempo. Il senso di solitudine e di spaesamento che provavano i pazienti era come se fosse il mio, lo provavo sulla mia pelle e spesso era difficile staccare la spina una volta arrivata a casa, la mia testa continuava a pensare e ripensare. Il campo in un certo senso è stato una valvola di sfogo, un momento di libertà. I campionati durante il covid sono stati però strani, per noi calciatrici non è stato semplice avere continuità dato che erano campionati pieni di interruzioni dovute alle varie norme”.
Consigli da dare a un tifoso per preferire il calcio femminile al maschile
“Non voglio dare nessun consiglio, io so solo che non esiste un calcio femminile e un calcio maschile, per me esiste il CALCIO in tutta la sua essenza e chi ama questo sport realmente non fa distinzioni e paragoni”.
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