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Women's Super League: c'è da preoccuparsi per quello che sta succedendo?

Chelsea e Aston Villa vogliono cedere le quote della squadra femminile per rientrare nel fair-play finanziario. Allarmismo infondato o paura concreta?

Sebastiano Morettadi Sebastiano Moretta   
Crediti: European Sponsorship Association
Crediti: European Sponsorship Association

La Women's Super League sembra stia facendo di tutto per far parlare di sé ultimamente. Tra possibili stop alle retrocessioni, la rimozione della Coppa di Lega ed eventuali introduzioni di squadre scozzesi, il campionato inglese ora fa discutere per una questione prettamente economica.

Il fatto

Come riportato da Domani Editoriale ed Lfootball, Chelsea e Aston Villa vorrebbero cedere la società femminile ad investitori terzi o a venderla direttamente agli stessi proprietari del club, per evitare di sforare i limiti imposti dal fair-play finanziario della Premier League. Per la società londinese manca l'approvazione della Lega, e in caso di positività, si aprirebbe un precedente per permettere lo stesso a quella di Birmingham.

Il problema

Quello che perplime gli appassionati della Women's Super League è l'operazione in sé, che potrebbe aprire la strada alla cessione dei club femminili, che di fatto parrebbe un'operazione per liberarsi di un "peso" e quindi trovare così un modo per disimpegnarsi dal calcio femminile senza dover chiudere i battenti.

Women's Super League: ogni problema è una soluzione

Quello della Women's Super League per ora sembra essere un caso unico nel suo genere. Nonostante tutto però, l'allarmismo delle ultime ore potrebbe essere effettivamente esagerato.

Mi spiego: sicuramente a livello economico, sostenere il professionismo di determinati club può diventare complicato, e da un lato il brand Premier League sembra essere lungi dal diventare la nuova denominazione del campionato.

Però concedetemi di cuore un bel "chissenefrega", almeno per il momento. Questo scenario apre a due opportunità che, secondo me, possono portare dei cambiamenti in positivo. Anzitutto perché le società femminili, pur utilizzando il marchio del club maschile, possono finalmente gestirsi in autonomia il proprio budget, senza dover rischiare di dover far quadrare i conti avendo a disposizione solo la cifra strettamente necessaria, e anche per emanciparsi da una serie di personalità che non considerano il calcio femminile una priorità. In più, il destino di una squadra femminile non sarebbe più nelle mani di qualche Consiglio Direttivo che da un momento all'altro può decidere di disimpegnarsi senza lasciare altre possibilità se non lo scioglimento.

L'altro scenario è puramente relativo al brand, nel quale il calcio femminile si sta ritagliando il suo spazio. La Women's Super League è attualmente, per qualità, il miglior campionato d'Europa, esattamente come la Premier League in ambito maschile, e si è ritagliata questo ruolo senza portarsi dietro un nome di un certo peso, ma creando la sua fama quasi da zero.

Sicuramente con "Premier" (denominazione con il quale la WSL a volte viene erroneamente indicata dagli addetti ai lavori, ma nel femminile la Premier League è quella saudita) si potrebbe raggiungere un pubblico più ampio, ma il calcio femminile ha dato nuovamente una dimostrazione di come possa riuscire a scriversi da solo la propria storia, senza dover per forza fare affidamento su un brand maschile (cosa che ha già dovuto fare con i club tra l'altro).

Il calcio femminile inglese sta dando prova di emancipazione, come già avvenuto l'estate scorsa con il passaggio alla Football Association alla WPLL. L'obiettivo è chiaro: la Super League è a tutti gli effetti un top brand del calcio femminile, e quindi i club possono anche riuscire a gestirsi in autonomia o senza il bisogno di una società maschile professionistica all'interno del sistema. Questo sarebbe un reale passo in avanti. Detto questo, la notizia che riguarda il Chelsea dovrà ancora diventare realtà. C'è ancora tempo per preoccuparsi.

Sebastiano Morettadi Sebastiano Moretta   

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